LAVORI DELL’ASSEMBLEA DEL TAVOLO INTERASSOCATIVO SALTAMURI DEL 26 MARZO 2021

INTRODUZIONE

Nel 2020 la situazione emergenziale ha determinato un rallentamento delle attività corrispettivo

all’impossibilità di iniziative in presenza (l’ultima in presenza è stata il flash mob a Roma il 18 dicembre 2019 dopo l’audizione alla commissione Affari Costituzionali del Senato). Con l’emergenza Covid-19, le continue necessità di adeguare interventi e proposte all’evolversi della situazione dovuta all’emergenza sanitaria hanno costretto a seguire gli avvenimenti con consultazioni continue del gruppo operativo e della cabina di regia del tavolo organizzando dei webinar e producendo diversi documenti.

Obiettivo di questo incontro 2021 era di riprendere le fila e i contatti, fare il punto su quanto attuato, sulle emergenze, riflettere insieme sulle direzioni di investimento prioritarie e darsi un mandato per l’anno corrente. Al tal fine sono stati organizzati 4 tavoli di discussione e, con soddisfazione, si rileva che all’incontro hanno partecipato oltre 40 associazioni ed organizzazioni aderenti al Tavolo.

Questo documento è una sintesi dei contributi emersi dal lavoro dell’assemblea.

L’intento è farne un documento che possa costituire un piano programmatico per i prossimi mesi individuando strategie e azioni concrete conseguenti.

Dalle sintesi dei lavori dei gruppi ricaviamo le seguenti indicazioni.

Il Covid ha messo il mondo della scuola di fronte ad un bivio: veder incrementare la dispersione scolastica oppure attivare una vera inversione di marcia, per una scuola nuova, verso un nuovo modo di fare scuola

  • Si è cercato di conciliare, faticosamente, il diritto alla salute e il diritto allo studio.
  • La DAD e l’alternanza di apertura e chiusura delle scuole hanno fatto emergere disuguaglianze e aggravato l’abbandono scolastico.

PER GESTIRE L’EMERGENZA: INVERSIONE DI SEGNO DELLA GESTIONE DELLA CRISI PANDEMICA

  • programmare già da oggi per il prossimo futuro: il monitoraggio nazionale sul fenomeno dell’accentuazione delle disuguaglianze e uno studio sul disagio vissuto dagli studenti deprivati di un fondamentale ambiente di apprendimento e ancor più della socialità; prevedere interventi mirati, utilizzo di tutte le strutture socio sanitarie disponibili, anche sui territori, prevedere una sanità di prossimità.
  • Conciliare tempi di chiusura ed apertura dei servizi del territorio rispetto a quelli delle scuole limitrofe. Non è possibile che per le aperture e le chiusure sia la scuola a pagare il prezzo più alto: la scuola non è un servizio ma un’istituzione.

DALLA SITUAZIONE EMERGENZIALE ALLA PROSPETTIVA PER IL FUTURO: OCCORRE UNA RADICALE INVERSIONE DI MARCIA

Non si tratta di recuperare il” tempo perduto” ma il senso pedagogico e culturale della scuola

  • Investire sul personale con assunzioni straordinarie. In una visione di intervento a breve e medio termine, si deve investire sulla formazione in entrata basata su un tirocinio in collaborazione tra scuola e università e una formazione continua stabile e strutturata. Superare il dramma del precariato e prevedere una formazione mirata anche per gli attuali precari. Assicurare la presenza costante degli insegnanti di sostegno.
  •          Valorizzare la professionalità del docente pensando a forme organizzative che favoriscano la ricerca e la sperimentazione didattica ed organizzativa, l’innovazione, in collaborazione con tutte le componenti della vita della scuola.
  • Rilanciare l’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri, sostenendo pratiche di intercultura e la proposta di modifica della legge 91/92 sulla cittadinanza. Prevedere il monitoraggio costante dei bisogni degli studenti stranieri, a rischio di abbandono e fallimento scolastico. Vanno conosciute e applicate le Linee Guida del MI per evitare episodi discriminatori
  • Abrogare quanto previsto dal Decreto Legge 25 giugno 2008 n. 112, art. 64, comma 6,convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 13, per ridurre sensibilmente il numero degli alunni per classe (fenomeno “classi pollaio”).Oltre a ridurre il numero di alunni per classe, bisogna creare aggregazioni flessibili e aperte, che si organizzino in spazi diversi dalla sola aula nella scuola, per progetti e compiti di realtà, personalizzando i curricula.
    • Realizzare la riforma dei cicli ed elevare l’obbligo scolastico a 18 anni
    •          Interventi per fare della scuola il luogo in cui il sapere si costruisce insieme, in cui diventi praticabile porre la riflessione, la discussione e la partecipazione collettiva alla base anche delle scelte didattiche, in cui lo studente riscopra il suo ruolo di protagonista attivo.

1.      La Riforma della legge di cittadinanza

Nel 2012 la Campagna “L’Italia sono anch’io” deposita alla Camera una proposta di legge di iniziativa popolare di modifica della legge sulla Cittadinanza (l. 91/92. Nel 2015 un DDL ricalca la proposta de “L’Italia sono anch’io”, viene approvato alla Camera ma resta bloccato in Senato. Tra il 2016 e il 2017 si svolgono, per iniziativa di Italiani senza cittadinanza, L’Italia sono anch’io, Insegnanti per la cittadinanza, flash mob in varie città chiedendo una legge sul riconoscimento dei ‘figli d’Italia dimenticati’. Mentre l’opinione pubblica si mostra favorevole alla riforma, al Senato la legge non passa. Attualmente sono depositate in Commissione Affari Costituzionali della Camera tre proposte di modifica della legge sulla Cittadinanza ma non è stato ancora presentato nessun testo unificato da parte del presidente della Commissione, nonostante le Audizioni, a cui ha preso parte anche il Tavolo Saltamuri.

2.      Lo stato delle cose: elementi di analisi.

Il quadro politico e culturale non appare in questo momento favorevole alla riforma della legge.    È insistente il tentativo di intorbidire le acque, mettendo insieme questione-migranti e questione- cittadinanza. È urgente un esplicito riconoscimento della cittadinanza come “diritto soggettivo”, cui l’ordinamento assicura il massimo di protezione. E ciò anche al fine di togliere discrezionalità arbitraria nei tempi di riconoscimento.

È stata avanzata una critica al cosiddetto “ius culturae” in quanto può veicolare un concetto di test di “italianità” su cui valutare i ragazzi. Perciò, nella comunicazione è necessario essere molto attenti e rigorosi e non cadere in alcuna forma di “assimilazionismo”. È necessario riconoscere e promuovere il protagonismo delle giovani generazioni con retroterra migratorio.
3.      Siamo insegnanti, maestri, educatori.

La riforma della legge riguarderà quasi un milione di ragazzi e ragazze. Come affrontare da subito l’educazione alla cittadinanza? Per prima cosa ci imbattiamo nella questione della lingua. Gli insegnanti si attivano per istituire e tenere corsi di italiano L2. Sarebbe utile che le mamme fossero a loro volta coinvolte per condividere un medesimo obbiettivo integrativo, comunicativo e culturale. Molto spesso sono i figli a fare da interpreti tra genitori e insegnanti, o uffici pubblici o avvisi scritti. Sarebbe in questo senso più appropriato parlare di “lingua figlia”, come suggerisce anche chi ha da tempo iniziato e consolidato la pratica di raccogliere le “autonarrazioni” dei non italofoni, anche nelle lingue delle rispettive comunità.

Sembrano confliggere due visioni nel riconoscimento del diritto di cittadinanza: una di tipo “premiale”, secondo cui il legislatore dovrebbe richiedere conoscenza della lingua e della cultura italiane per “meritare il diritto” come “premio”, l’altra, che incontra il nostro favore, che consiste nel considerare una legge di cittadinanza come “investimento” in umanità. Il diritto di cittadinanza contrasta profondamente con il sedimento tribale della antinomia amico-nemico che ereditiamo da un passato millenario.

Un’altra questione è quella che va sotto le espressioni: “mediazione linguistica”, “mediazione culturale”, “mediazione linguistico-culturale”. Si discute se, nell’incontro fra appartenenti a contesti culturali differenti, sia sufficiente un’attività di interpretariato o se questo debba essere sostenuto da un lavoro di mediazione di carattere culturale per le quali sono necessarie competenze specifiche, oggetto di formazione professionalizzante.

  • Nell’epoca in cui il patrimonio dei diritti di ciascuno non si limita solo a quello incorporato nella cittadinanza nazionale, ma si accresce grazie alla possibilità di realizzare altrove diritti negati nel proprio paese – si pensi a divorzio, interruzione di gravidanza, istruzione, libertà sessuale, libertà religiosa ecc. – in Italia si nega e si ostacola il riconoscimento giuridico del diritto di cittadinanza a coloro che condividono una condizione di fatto indistinguibile da quella nella quale vivono italiani “di diritto”. Si tratta in larghissima misura di coloro che sono nati in Italia o ci sono arrivati da minori

circa un milione di ragazze e ragazzi – con famiglie di contesto migratorio, non in possesso della cittadinanza italiana.

Il principio di sussidiarietà si è elevato a principio di rango costituzionale con la legge del 2001, che

riforma il Titolo V della Parte II della Costituzione. L’attuale ministro Bianchi già nei rapporti del CTS di maggio e luglio 2020 proponeva i patti territoriali poi ripresi dal Piano scuola 2020/21.

Nel Piano si legge: Il Ministero dell’Istruzione promuove e cura un sistema di coordinamento, a livello nazionale e periferico, con gli Enti Locali, le autonomie territoriali, le parti sociali, le istituzioni scolastiche, e tutti gli autori istituzionali coinvolti nell’ambito del sistema di istruzione e formazione. Il coinvolgimento dei vari soggetti pubblici e degli attori privati, in una logica di massima adesione

al principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa, (…) al fine di: favorire la messa a disposizione di altre strutture o spazi e sostenere le autonomie scolastiche.

Due posizioni:

C’è chi ha visto nell’emergenza pandemica la possibilità che il contesto sociale dia sostegno alla scuola, al punto di superare il confine tra scuola e privato sociale. Altre hanno espresso il timore che questo possa significare la consegna del compito educativo della scuola alle parti sociali con il rischio di un suo forte depotenziamento.

Altri nodi critici sono rappresentati dal fatto che:

  • i territori sono diseguali, e non tutti sono in grado di dare contributi sia in termini di progettazione che di realizzazione di progetti di educazione integrata tra scuola e territorio. Una possibile soluzione è incentivare i modelli a rete.
  • la sussidiarietà tra scuola e extra scuola deve uscire da una logica che vede l’impegno delle formazioni sociali nei soli termini del: “dove non arriva la scuola allora entrino gli altri”, ma come progetto educativo permanente per la costruzione di una comunità educante.

Per rispondere ai bisogni è necessario pensare a un impianto educativo lungo tutto l’arco della

crescita con un approccio sistemico. Quali condizioni per reagire alle povertà e al vuoto educativo, quali strategie proporre?

– Definire i LEP e prevedere una dotazione finanziaria adeguata per intervenire efficacemente sul progetto di vita

-Partire dalla cura e dall’ educazione della prima e della seconda infanzia (sistema integrato zerosei) come misura preventiva e garanzia di successo formativo (oltre che di soddisfazione di bisogni.

I diritti all’istruzione dell’infanzia come criterio base (l. 176/91)

-Ridurre il n. di alunni classe, abolizione degli anticipi, revisione del dimensionamento e degli accorpamenti degli istituti: (abrogazione art. 64 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito in legge n.133/2008 ); istituzioni educative come scuole di prossimità; scuole gestibili e dirigenti e docenti stabili .

-Una formazione adeguata di docenti e dirigenti per fare della scuola luogo di motivazione allo studio attraverso un cambiamento didattico e organizzativo, una didattica trasversale rispondente alle nuove emergenze e un cambiamento di paradigmi

-Fare rete tra scuole, famiglie e territori.

-Definire e realizzare una politica di supporto alle famiglie.

– Ripensare i luoghi educativi: non solo aule, ma ambienti gradevoli e vari percettivamente e funzionalmente: la bellezza come elemento formativo

Azioni concrete:

Prendere esempio dalle buone pratiche per individuare strategie (scuole della seconda opportunità, progetti intervento in territori disgregati)

Concentrare gli investimenti in province e regioni dove elementi di base non sono garantiti: trasporti, mense scolastiche, laboratori, asili nido

Curare i passaggi di ordine di scuola (continuità e verticalità e orientamento fin dai primi anni, non limitato alla terza media)

Sostenere richieste di aumento degli investimenti sull’istruzione. Promuovere gemellaggi fra scuole per superare l’isolamento .

Promuovere Patti di comunità e convenzioni per l’estensione dell’apertura delle scuole, l’offerta di stimoli, la fruizione delle opportunità del territorio coinvolgendo la rete dei servizi sociali, le aziende, una pluralità di servizi; promozione a cura di ente locale e scuole.

Fare della città un luogo di apprendimento permanente.

Sensibilizzare i docenti allo sviluppo della sfera emotiva e alle relazioni educative.

Attivare un approccio narrativo autobiografico come condizione per identità memoria cultura. Documentare i processi, i percorsi.

  1. Politiche delle pari opportunità: di genere, di classe, di etnia, di lingua
  2. Gratuità per il diritto allo studio alla secondaria (testi scolastici e connettività)
  3. Estensione obbligatoria della banda (soprattutto nei territori depressi)
  4. Inclusione scolastica e contrasto alla medicalizzazione.

Il gruppo ha ritenuto necessario contestualizzare l’attuale situazione della scuola ripercorrendo la politica scolastica italiana degli ultimi 20 anni: assenza di investimenti corrispondente ad una totale sottovalutazione della formazione e della cultura, indifferenza rispetto al mandato costituzionale assegnato alla scuola pubblica in una logica sempre più liberista, tagli dissennati alla scuola che hanno fatto crescere discriminazioni e per converso privilegi, l’idea di una scuola sempre più come servizio contribuendo alla crescita esponenziale di un individualismo insinuante e pervasivo.

Di contro una grande stanchezza della scuola e dei suoi operatori spesso ripiegati in atteggiamenti difensivi.

Riprendiamoci il nostro mandato: intollerabile l’idea che alla scuola si possa riservare lo stesso declino della sanità pubblica.

Il contrasto alle disuguaglianze comincia dalla difesa e dal monitoraggio della legge 65 sul sistema integrato 0/6 pienamente inserito nel sistema dell’istruzione e non succedaneo a politiche di welfare. Per avviare un curricolo unitario 0/18.

L’abolizione delle classi pollaio e quindi la concreta possibilità di ripensare e praticare una nuova didattica può venire dall’abolizione della legge 138/2008 che va fortemente richiesta insieme ad investimenti sulla formazione degli insegnanti. Formazione che deve vedere gli insegnanti ed i collegi docenti registi della stessa e non semplici fruitori di una formazione accademica.

Anche l’educazione di genere che trova continui ostacoli alla sua pratica nelle scuole per l’opposizione di un familismo moralista deve essere proposta ed attuata dai docenti nel loro protagonismo.

Il gruppo operativo propone, quale sintesi dei lavori, e per l’interlocuzione con scuole, associazioni, enti, decisori, il seguente

DOCUMENTO SALTAMURI

La scuola e l’università sono parte fondamentale del patrimonio culturale del paese, uno dei pilastri di costituzione di capitale sociale e di coesione, il bacino della conoscenza intesa come uno fra i principali beni comuni.

Ancora oggi la scuola pubblica è fra le istituzioni democratiche e laiche presidio di diritti e garanzia per la piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Le scuole pubbliche però richiedono interventi urgenti. Oggi assistiamo a un indebolimento e ad attacchi alla scuola da diversi fronti, e nello stesso tempo il suo essere ancora per molti versi la scuola di classe denunciata da pionieri dell’educazione e da ricercatori.

Quali sono allora le condizioni per un superamento di barriere, limiti, ostacoli alla piena realizzazione delle sue funzioni emancipatrici?

  • Una scuola inclusiva richiede competenze professionali, culturali, metodologico-didattiche innovative, aggiornate, approfondite dei docenti per la parità di opportunità e il contrasto alla povertà educativa e alle disuguaglianze e discriminazioni.

La dispersione si contrasta con più mezzi e risorse: umane, logistiche (ambienti di apprendimento), strumentali e strutturali.

  • Il reclutamento e la formazione iniziale e in itinere (obbligatorie per docenti e dirigenti) vanno curvati sull’esigenza urgente di docenti che scelgano la professione e siano disponibili ad investire energie intellettuali, studio , ricerca. In ingresso è necessaria una verifica della competenza e sensibilità didattica e relazionale, umana dei docenti, della loro attitudine ad insegnare, attraverso il tirocinio, l’ osservazione in presenza, la richiesta di preparazione di attività didattiche da sperimentare sul campo. Così da sviluppare le valenze pedagogiche degli interventi educativi e la riflessione sulle pratiche. Infine, una dichiarazione di disponibilità all’accesso a una formazione permanente come precondizione.
    • Le condizioni operative esigono una riduzione del numero di alunni per classe e un ridimensionamento degli istituti con un numero massimo di sedi (ad es. per gli istituti comprensivi una o due scuole dell’infanzia, una o due primarie, una o due scuole secondarie di primo grado; per gli istituti secondari un massimo di due istituti).
    • In una scuola di qualità si conoscono tutti e tutti sono ri-conosciuti e possono trovare ritmi e spazi adeguati per il potenziamento delle loro competenze in nuce. La scuola ha

senso per ognuno/ e per tutti/ e se consente tale dimensione relazionale mettendo a disposizione spazi di partecipazione e socialità accanto a spazi di apprendimento.

  • I modelli organizzativi hanno il loro cuore non nelle linee guida della PA e in una logica produttivistica, ma in un impianto sociocostruttivista degli apprendimenti, una disponibilità di un organico stabile che consenta tempi lunghi, ritmi distesi, continuità, E’ indispensabile una progettazione collegiale per una valutazione realmente formativa, una definizione di procedure condivise, un uso delle risorse umane e contestualmente una dirigenza scolastica che abbia a cuore l’apprendimento e il successo formativo.
    • L’organico di istituto nel primo ciclo deve prevedere, pertanto:
      • nel tempo pieno due docenti per classe con adeguati tempi di compresenza
      • nell’organizzazione su due classi con tre docenti
      • due modelli orari: 40 ore con 5 pomeriggi o 32 ore con 2 o 3 rientri
      • alla secondaria di primo grado tempo prolungato su 37 ore con tre rientri con tempi di compresenza con docenti delle discipline a orario completo su una classe (lingua, matematica) o su due classi (lingue straniere) o su tre classi (arte, musica, tecnica, ed. fisica); il tempo ‘normale’ senza le riduzioni di orari di cattedra apportate nel 2008 e con un pomeriggio di rientro (abolendo la possibilità di riduzione a 5 giorni con sei ore giornaliere di 50’); stesso problema alle superiori professionali aree dell’integrazione
    • Ogni scuola deve essere adeguatamente fornita di laboratori, biblioteche, mense, palestre: i soli strumenti informatici, sia pure necessari, non sono sufficienti a predisporre piani di intervento di qualità.
    • Vanno aboliti sia all’infanzia che nel primo ciclo gli anticipi che, in particolare nella fascia di età 3-6, consentono alle famiglie di evitare l’iscrizione alla scuola dell’infanzia immettendo direttamente i bambini in prima classe, a volte con esiti disastrosi.
    • In prospettiva si deve pensare a un’estensione dell’obbligo a 18 anni con interventi sostenuti di continuità e curricolarità verticale e una cura particolare dei percorsi di orientamento a partire dai primi anni così da consentire di far emergere propensioni e potenzialità di ognuno/a.

Sono queste le condizioni indispensabili per risalire la china, rispondere ai bisogni, e affrontare il grave e sempre più preoccupante problema della dispersione scolastica e degli abbandoni, in costante aumento anche a seguito delle chiusure e delle difficoltà di connessione registrate con la pandemia.

L’apertura prevista delle scuole nel periodo estivo, se non limitata all’anno corrente, può costituire un importante raccordo fra scuola e strutture del territorio attraverso la stipula di patti territoriali in cui la scuola mantenga la regia educativa.

RELAZIONE SCUOLA FAMIGLIA E PARTECIPAZIONE

Con l’emergenza sanitaria e l’applicazione spesso caotica ed arruffata della DAD, si è verificata una radicale rimessa in discussione delle relazioni tra la scuola e le famiglie.

I docenti si trovano nella condizione inedita di entrare per diverse ore nelle case dei propri allievi. E’ necessario farlo con discrezione e cautela, prestando la massima attenzione alle differenze e alle difficoltà che si stanno vivendo nelle famiglie.

Da un lato emergono i disagi e le insicurezze del docente nell’uso di metodologie innovative meno consolidate, dall’altro il senso di inadeguatezza e frustrazione del genitore di fronte alle richieste della scuola.

Si apre dunque la possibilità di stabilire nuovi patti educativi per una collaborazione attiva tra insegnanti e genitori fondati sull’ascolto e sulla fiducia reciproca. Una rivitalizzazione quindi degli Organi Collegiali, presidio fondamentale a fronte di possibili derive antidemocratiche nel governo della scuola.

Per questo sarà necessario in futuro migliorare l’informazione /comunicazione, far conoscere gli obiettivi formativi, condividerli e condividerne le modalità di valutazione, farne comprendere i contenuti argomentandone le scelte, potenziare i tempi ed i luoghi della consultazione.

Il Patto Educativo di Corresponsabilità ripulito dalla polvere che dal 2007 si è depositata su un adempimento che la scuola ha trasformato in un’inutile pratica affidata stancamente alle segreterie, potrebbe essere il momento in cui gli adulti educatori si ri-conoscono nel conseguimento dello stesso obiettivo.

E’ la modalità per erodere una pratica di genitorialità diffusa che si basa su di un individualismo proprietario, per cui sempre più si pensa la scuola in continuità con la famiglia, non come ad un luogo necessariamente diverso da essa di crescita sociale e di confronto.

Vanno incentivate le pratiche di consigli di scuola anche tra gli alunni delle scuole primarie e ripensare agli organismi territoriali (Distretti) come luogo di partecipazione e programmazione democratica del territorio.